Il momento più qualificante della vita dei santi è il passaggio all’eternità; inizia per loro il giorno senza fine, senza più nubi, senza più dolori. Alle tre del pomeriggio del 2 gennaio 1868, il Priore di Santa Sabina don Giuseppe Frassinetti, all’età di 63 anni, chiudeva gli occhi sulle miserie umane per aprirli sulle infinite ricchezze eterne, alle quali da sempre aveva creduto con intensità: «Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli»(Sal 116, 15).
Il popolo di Santa Sabina intuì la santità del proprio pastore e “…appena morto, molti si raccomandavano a lui come a un santo”; “…tutti, piangendo, domandavano un ricordo di lui e si diedero a tagliuzzare il suo letto di legno e le sue vesti, per averne qualche reliquia”. Il popolo – voce di Dio – lo aveva già canonizzato, perché aveva riconosciuto in lui quelle virtù, che la Chiesa ritiene necessarie per l’elevazione di una creatura agli onori degli altari.
Giuseppe Frassinetti era nato a Genova il 15 dicembre 1804, da Giovanni Battista e Angela Viale. Ebbe tre fratelli (Francesco, Giovanni e Raffaele, che divennero anch’essi sacerdoti) e una sorella: Paola, ora santa, fondatrice delle Suore di Santa Dorotea. All’età di quattordici anni perse la madre, trovando conforto nella fede e nella devozione alla Madonna. Intraprese gli studi nel Seminario di Genova, dove si distinse per maturità e diligenza. Ordinato sacerdote (22. 09. 1827) si dedicò con tutto il cuore alla sua nobile missione, di cui era innamorato.
Insieme con l’amico Don Luigi Sturla fondò un’associazione per la promozione spirituale e intellettuale del giovane clero: la Congregazione del Beato Leonardo, che ebbe in Genova vasta risonanza e benefico influsso sulla spiritualità sacerdotale. Nel 1831 fu nominato parroco a Quinto al Mare, dove svolse un generoso e illuminato apostolato. Con lui, insieme a due vice parroci, collaborò anche la sorella Paola, che proprio a Quinto iniziò – con l’aiuto e la guida del fratello – la prima comunità del suo Istituto.
Nel 1839 divenne parroco di Santa Sabina, nel cuore della vecchia Genova, a ridosso del porto, in un quartiere popolare con gravi problemi morali ed economici.
Si fece tutto a tutti unendo lo zelo per la liturgia all’assistenza dei poveri, la catechesi e la predicazione all’organizzazione del laicato in pie associazioni, il ministero del confessionale all’apostolato della penna.
Ha lasciato un centinaio di opere, per lo più dirette alla gente semplice per esortarla, con un discorso chiaro e accessibile, al cammino della santità. Alcuni scritti più impegnativi sono rivolti ai ministri di Dio, come il Manuale pratico del Parroco novello e il Compendio della Teologia Morale di Sant’Alfonso de Liguori, che ebbero numerose ristampe e svariate traduzioni.
Teologo spirituale, moralista, scrittore di ascetica e mistica, fu un apostolo della devozione al SS. Sacramento e della Comunione frequente. Ebbe una grande devozione alla B. V. Maria e una filiale obbedienza verso il Papa. Seguace della morale alfonsiana, ne condivise il rifiuto del rigorismo giansenista, l’attenzione all’uomo nella sua realtà concreta e la fiducia nella misericordia di Dio.
Promosse le vocazioni alla vita consacrata e – in modo particolare – al sacerdozio. Anche per questo ebbe una speciale stima per la castità e la promosse con gli scritti, la parola e l’esempio. Ebbe relazioni di collaborazione e amicizia con numerose figure di uomini e donne di Dio del suo tempo e scrisse valide riflessioni sulle Amicizie Spirituali.
Durante i moti rivoluzionari del ’48 fu perseguitato e ritenne opportuno andare “in esilio” a S. Cipriano di Valpolcevera, dove si dedicò agli studi di spiritualità.
Ebbe un ruolo decisivo nello sviluppo di una nuova esperienza di consacrazione nel secolo: le Pie Unioni delle Figlie e dei Figli di S. Maria Immacolata.
Promosse tra di essi delle Case di vita comune, per una più ardente realizzazione della carità fraterna.
Una Casa di vita comune dei Figli di Santa Maria Immacolata (1866) divenne, sotto la sua direzione, un’Opera vocazionale per l’avviamento dei giovani poveri allo stato ecclesiastico. Trovava così concreta attualizzazione lo zelo per le vocazioni che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Alla sua morte, la direzione della Casa fu assunta da don Antonio Piccardo (allora diacono), che la portò a rigoglioso sviluppo, fino alla sua erezione in Congregazione religiosa (1903).
Giuseppe Frassinetti chiudeva la sua giornata terrena il 2 gennaio 1868, a seguito di un’inaspettata polmonite fulminante.
Ha lasciato un’immensa eredità di fede, virtù, carità pastorale, sapienza e santità.
Nell’immenso coro dei riconoscimenti enumeriamo le voci di quattro Papi:
- Pio IX definisce il Frassinetti (era ancora vivente): “Sacerdote di provata virtù e di sicura dottrina”,
- Pio X lo chiama: “Personaggio illustre e sacerdote di eccellentissima pietà e di singolare dottrina”,
- Pio XI dice di lui: “Il suo nome è di per sé una raccomandazione”,
- Pio XII ne parla come di un“sacerdote chiaro per santità e dottrina, la cui memoria è rimasta davvero una benedizione per la Chiesa universale”.
Queste dichiarazioni che precedono il riconoscimento ufficiale delle virtù eroiche di Don Giuseppe Frassinetti, reso pubblico dalla Congregazione delle Cause dei Santi il 14 maggio 1991, sono davvero un arco di trionfo eretto in suo onore.