Premessa del redattore (della Rivista Risonanze)
Mi sembra opportuno introdurre l’argomento con un accenno, almeno, alla figura di Carlo Maria Martini (1927-2012). Ciò aiuterà sicuramente a capire le considerazioni di P. Valter, perspicace come sempre nel cogliere, rimodulare e proporre ai suoi lettori gli aspetti all’apparenza poco lungimiranti e pur presenti nei discorsi di personalità religiose di spicco, come è stato l’Arcivescovo di Milano, oltre che nei difficili decenni dell’era post-conciliare (1979-2002), anche durante gli anni difficili della storia italiana alla fine del ‘900: la stagione di Mani Pulite. Se Milano fu considerata la capitale morale del nostro Paese lo si deve anche al suo Arcivescovo.
Ḗ quanto si desume dal documentario “Carlo Maria Martini, profeta del Novecento”, per la serie Italiani di Antonia Pillosio e Giuseppe Sangiorgi (ultima edizione 2019), con la significativa introduzione di Paolo Mieli, all’epoca Direttore del Corriere della Sera.
«Carlo Maria Martini è stato importante come un Papa, più di un Papa. Ci sono stati momenti della Storia della Chiesa Italiana, come dopo la morte di Giovanni Paolo II, in cui sembrò che potesse diventare Pontefice, ma poi si trovarono soluzioni diverse e Papa non lo divenne mai». Altrettanto significativo – e qui mi fermo ritenendo sufficienti i due panegirici – è quanto affermava nel corso del documentario P. Carlo Casalone, Presidente della Fondazione “Carlo Maria Martini”: «Il suo motto era “Pro veritate adversa diligere”, affermare la verità anche quando questa non torna a proprio vantaggio».
Credo che P. Valter proprio su questo motto, altamente impegnativo per chiunque, abbia “azzardato” le sue proposte, con l’auspicio che i destinatari le colgano.
Il segno dei tempi
Il 1° settembre 2012 il Corriere della Sera riportò, all’indomani della morte del cardinale Carlo Maria Martini, un’intervista che ebbe particolare risonanza avvertita ancora oggi.
Quell’intervista infatti divenne un perenne invito, per tutti i componenti delle comunità cristiane, a chiedersi: quanto amore, quale sogno, quale speranza e quale e quanto impegno ho intenzione di mettere in azione a favore di Gesù e della sua Chiesa?
In quelle parole c’era la consapevolezza di avvertire nel mondo occidentale una Chiesa stanca e con una cultura invecchiata di pari passo all’invecchiamento dell’Europa.
Non si capisce più a quale scopo si continuano a progettare chiese mastodontiche o perché gli istituti di vita consacrata si stanno svuotando di giovani forze.
L’apparato burocratico delle parrocchie e delle diocesi si sta appesantendo, trascurando di valutare l’effettiva azione dello Spirito Santo nell’amministrazione dei sacramenti fatta con la dovuta dignità per salvaguardarne il significato.
Forse non bastano per questo la pomposità dei riti e degli abiti liturgici che crea la falsa illusione di realizzare un ambiente di solennità.
Gli ideali che dovrebbero rivitalizzare l’azione pastorale della Chiesa sono governati da immagini intellettuali ed estetiche che probabilmente non tengono conto delle reali aspettative umane della società attuale.
In un atteggiamento di ascolto sincero mi pare opportuno, come prima condizione, il riconoscere gli errori che si commettono proponendo un dialogo sulla base di tradizioni ormai lontane dalla dinamica dell’amore nei confronti dei contemporanei, invece di riattivare e incoraggiare la ricerca di altre vie per annunciare la bellezza della fede.
Non credo che sia possibile realizzare realtà adatte alle persone di oggi utilizzando supinamente schemi e modalità di ieri.
Se non riusciamo a sperimentare come nutrimento e forza per la nostra vita l’esperienza della preghiera e le celebrazioni liturgiche sarà molto difficile uscire dal senso di torpore e di assuefazione con cui celebriamo superficialmente i misteri della nostra fede.
A livello personale e comunitario è però sempre possibile un cambiamento che ci metta maggiormente in grado di portare sostegno alle persone che stanno affrontando situazioni rese complicate dalle innate debolezze e inadempienze umane.
Quali esperienze di vita della Chiesa in tutte le sue diramazioni siamo oggi in grado di poter presentare come luogo speciale di incontro tra l’amore di Dio e lo smarrimento delle persone?
Dopo 60 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II serpeggia la sensazione della sua vigorosa spinta ad incontrare con fiducia l’umanità. Perché rimaniamo ancora ancorati a paure invece di avere il coraggio di scuoterci?
Eppure l’amore di Dio arriva e trasforma nel profondo principalmente, ma non esclusivamente, attraverso l’opera della Chiesa e chi lo percepisce potrà essere protagonista dello svecchiamento della Chiesa in Occidente e portatore delle giuste indicazioni per entrare in comunione con la volontà del Padre affinché si compia anche in terra allo stesso modo con cui si compie in cielo.
Sperimentare la comunione con Dio, valutare le situazioni del mondo e agire con discernimento potrebbe essere la struttura portante e metodologica di una lettura spirituale delle realtà sociali che, per essere maggiormente efficace, incrocerà a pieno titolo la pluralità dei punti di vista prima di agire.
La fase di ascolto del Cammino Sinodale ha registrato un’ampia risposta, ma la scarsa partecipazione della componente giovanile peserà negativamente sulla valutazione delle indicazioni che verranno maturate alla conclusione.
Anche vari giovani fedeli che sentono con consapevole forza che la Chiesa è casa loro, esattamente come lo è per il clero, aspettano di non essere più tenuti fuori da ogni vera responsabilità.
Nell’omelia tenuta in Messico a Zapopan il 30/1/1979 Giovanni Paolo II trovava nella fede del popolo toccata dalla grazia e forgiata dall’incontro fra l’opera evangelizzatrice e la cultura locale la vera espressione dell’anima cristiana.
Dalla Rivista Risonanze 4-2022, p. 11s
Valter Palombi fsmi
Comments: 0
There are not comments on this post yet. Be the first one!