In: Risonanze

E già! Perché mai svegliare il can che dorme? Sono molti i risvolti che ogni avvenimento di certa portata comporta a livello ineluttabile e la pandemia prima (o ancora) e la guerra Russia-Ucraina poi (solo un profeta patentato sa se e come finirà quest’ultima!) non potevano sottrarsi al beffardo destino di essere fonte di mali peggiori (si fa per dire) di se stesse.

Ho provato piacere che qualcuno, sul solito Avvenire, abbia affrontato un problema che sicuramente sta a cuore a tante persone, a quelle per le quali si spendono tanti discorsi, ma per le quali, in fondo, non si fa niente o quasi (sarebbe disonesto omettere il ‘quasi’): la crescita esponenziale della povertà presente nel mondo. Per contro per i “soliti noti” le due tragedie sono state di segno opposto avendo favorito la crescita esponenziale non della loro povertà, bensì della loro già esorbitante ricchezza,

Cosicché ad alcuni manca ancor più il necessario per il pane quotidiano, altri, più numerosi di quanto non si pensi, hanno potuto ingigantire i loro patrimoni, non per risolvere il loro problema alimentare quotidiano, ma per essere ancor più di prima i plenipotenziari dell’economia mondiale attraverso le loro lobbies, vere e proprie aziende che controllano i mercati internazionali di materie prime, alimenti, farmaci, macchine, vestiario e quant’altro.

Dal momento che saranno gli stessi dati (che riprendo dalle statistiche pubblicate a vario titolo sui media) a dare sufficiente idea dei due fenomeni, mi limiterò poi a proporre alcune semplici riflessioni.

Avvenire introduce l’argomento con un titolo particolarmente significativo: «Prima il Coronavirus e ora la guerra hanno bruciato decenni di lotta alla povertà».

Oggi come ieri, alle grandi tragedie dell’umanità corrispondono grandi accumulazioni di ricchezze che, ovviamente, stringono sempre più i meno abbienti nella spirale della povertà estrema la quale, solo nel 2022, rischia di inghiottire più di settecentomila persone al giorno (per la precisione 263 milioni). Non può essere diversamente se si pensa che le fortune dei super ricchi che controllano le grandi imprese alimentari e dell’energia si sono accresciute, dall’inizio del Covid 19, di 453 milioni di dollari, al ritmo di 1 milione di dollari al giorno.

Un esempio per tutti: tre grandi (e note) famiglie americane, considerate nel campo alimentare tra le più grandi aziende mondiali a conduzione familiare, controllano da sole il 70% del mercato mondiale dei cereali e una di esse da sola ha realizzato l’anno scorso il più grande profitto di sempre con 5 milioni di dollari di utile netto.

Si prevede che questi record saranno ampiamente superati nel 2022 in cui sono già ora evidenti le conseguenze dell’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime che stanno schizzando dall’inizio della guerra Russia – Ucraina con la crisi del grano e i raccolti ucraini bloccati nei porti.

Le nuove disuguaglianze sociali verificatesi già nel 2021 con la pandemia galoppante e quelle che, purtroppo, stanno emergendo nell’attuale situazione critica internazionale, sono considerate allarmanti dal World Economic Forum che nella riunione (finalmente in presenza) del 23 maggio u.s. le ha definite “nuove scandalose iniquità”, perché, mentre qualcuno (si tace per opportunità il nome) «brinda all’incredibile impulso che la loro attività sta ricevendo, allo stesso tempo decenni di progressi nella lotta alla povertà estrema rischiano di essere vanificati».

Ricerche effettuate nei profitti delle imprese che operano nel settore energetico, di quelle, si fa per dire, che sono in grado di mostrare i loro muscoli (e le loro fauci), hanno messo in luce dei dati a dir poco allarmanti: 5 multinazionali energetiche raggiungono la “modica” cifra di 2.600 dollari al secondo; la pandemia ha prodotto 573 nuovi miliardari, 62 solo nel settore alimentare, con il risultato che la loro ricchezza è pari al 13,9% del PIL mondiale.

Ancora più eclatante il caso delle industrie farmaceutiche (40 i nuovi miliardari) che, nell’attuale situazione, in cui l’87% dei paesi a basso reddito non ha ancora completato il ciclo vaccinale, hanno venduto ai governi i loro vaccini a prezzi 24 volte superiori al costo stimato di produzione.

Sul fronte opposto un lavoratore, sia pure con retribuzioni più basse, dovrebbe lavorare per ben 112 anni per guadagnare quello che i “signori delle multinazionali” guadagnano in un solo anno.

«Siamo di fronte a una disuguaglianza tossica che rischia di spezzare i legami che tengono insieme la nostra società». Ė l’ulteriore amara riflessione pronunciata nel succitato meeting annuale del World Economic Forum di Davos che conclude, senza rischio di smentita dai dati statistici: «i profitti dei colossi alimentari, energetici e farmaceutici decollano, mentre nei paesi poveri è allarme fame».

A questo punto non c’è molto da dire, c’è molto da riflettere. Non ci troviamo, com’è ovvio capire, di fronte a profitti solo frutto di lavoro, intraprendenza, capacità e di quant’altro appartiene alla sfera dell’intelligenza personale di chi, giorno dopo giorno, accumula ricchezze “sudando e rischiando”, ma di fronte a vere e proprie speculazioni, soprusi, sfruttamento di particolari situazioni in cui versa tanta povera gente per far fronte alle necessità fondamentali di una vita dignitosa (lavoro, cibo, vestiario, benzina, elettricità e, perché no?, anche qualche minimo bene voluttuario).

Nessuno mette in dubbio (o meglio qualcuno si) che il lavoro e l’intraprendenza vanno premiati, ma a tutto c’è un limite, soprattutto quando a rimetterci sono i soliti noti, impotenti e costretti a subire senza possibilità di rivalsa.

Ultimamente si è scoperto che i Comuni fanno di tutto e di più per incrementare le entrate provenienti dalle multe per infrazioni stradali che vengono letteralmente “gonfiate” da addizionali di ogni genere. Quanto potrà mai costare l’avviso cartaceo e la sua spedizione che, molte volte superano alla grande la cifra relativa all’infrazione contestata, peraltro soggetta alla sola “discrezione infallibile” dell’accertatore con ammissione di ricorso solo concesso e mai vincente!

Qui, però, ci sarebbe da affrontare un altro spinoso argomento che vorrei risparmiare ai lettori, se non altro per non uscire fuori dal seminato, di quanto, cioè, ho cercato finora di proporre alla loro riflessione e considerazione.

Per chiudere mi permetto, come spesso faccio, di servirmi di un paradosso concessomi dalla filosofia.

Certo, è vero che “non si vive di solo pane”, ma a dispetto dell’idealismo hegeliano non è così facile saziarsi con “l’idea della pastasciutta”. Questa può anche idealmente saziare il pensiero. Ben altro ci vuole per saziare la parte dell’uomo che ha bisogno di pane vero, reale, tangibile e sufficiente.

a cura di P. Giuseppe Prencipe fsmi

Dalla Rivista Risonanze 2 – 2022, p. 5 – 7

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