La guerra: arma dei deboli o dei forti?
Non è una domanda (o un dubbio) di poco conto. Non tanto perché la risposta è fin troppo scontata. Chiunque abbia un po’ di senno non può non essere d’accordo sul fatto che generalmente si usa la forza quando non si hanno altre “argomentazioni” per convincere, dissuadere, prevalere, assoggettare, in altre parole per dimostrare la propria superiorità, nella convinzione “assoluta” di essere dalla parte della ragione.
Ne consegue che la guerra, quella “offensiva”, non quella “difensiva”, è l’arma del debole che, inconsapevole della propria debolezza, non riesce in altro modo a imporre la sua volontà, specie se questa è “illuminata” dalla sete di supremazia, camuffata da “giustiziere della notte” con la vocazione al ristabilimento di uno “status quo” legittimo illegittimamente modificato dai “cattivi” (gli altri).
Gostomel – Riparo provvisorio sotto il ponte bombardato
E non tanto perché, siamo altrettanto convinti, l’uso della forza, in particolari circostanze e per “legittimi” motivi, è necessario per ristabilire in una società, comunità, o nazione, lo status razionalmente oggettivo, ma non razionalmente raggiungibile. È il caso, ad esempio, della necessità delle leggi con le quali si è soliti superare diversità di pensiero, controversie, prevaricazioni, abusi, e senza le quali davvero si tornerebbe a sperimentare l’«homo homini lupus» delle società primitive o la «giungla», condizioni ambedue ove vige «la legge del più forte».
Il vero dubbio viene quando, per rispondere alla domanda in modo corretto, è necessario dare prima una corretta interpretazione a parole o concetti del tipo: valore della vita umana, autonomia di giudizio e di pensiero, libertà (al singolare e al plurale), autorità, diritti e doveri, credo religioso, moralità, socialità.
Ne consegue che la risposta alla domanda posta assume un orientamento diverso a secondo di come ci si rapporta con tutto questo.
I vigili del fuoco all’opera per soccorrere i feriti
Che lo si voglia o no, in una guerra “vera”, qual è quella alla quale stiamo assistendo, impotenti, in questi giorni (speriamo ultimi per chi scrive e non più in vigore per chi legge), entrano (dovrebbero entrare) prepotentemente in gioco le parole e i concetti di cui sopra, perché la guerra, al di là delle distruzioni e dei morti e di tutte le tragiche conseguenze, seppellisce ogni valore umano, sociale, civile, religioso, politico, tutto quello, cioè, che invece dovrebbe essere la «Costituzione» della convivenza umana.
Va da sé, quindi, che forza e debolezza, che si tratti di guerra offensiva o di leggi cautelative, non sono che le due facce della stessa moneta da utilizzare a secondo delle necessità e salvaguardando sempre i valori reggitori dei popoli.
La guerra, invece, presenta una sola faccia: la debolezza inconsapevole di chi si crede forte e superiore a tutto e a tutti.
Non parliamo, poi, della assoluta incapacità, almeno di una buona porzione dell’umanità, di imparare le lezioni della storia, come pure della caparbia incapacità di rimanere seduti al proprio banco per insediarsi a tutti i costi in cattedra.
Già in un’altra occasione ebbi modo di riportare un pensiero di Papa Francesco secondo cui l’uomo è «il solo animale capace di cadere due volte nella stessa buca, mentre l’asino non lo fa mai». Non ci vuole molto per capire il senso delle sue attuali, costanti implorazioni volte a scongiurare un ulteriore passo falso dell’umanità: «cadere nella stessa voragine addirittura una terza volta, dopo il 1914 e dopo il 1939», con conseguenze inimmaginabili. Chi ha la testa sul collo, faccia girare dalla parte giusta il cervello ivi contenuto.
Dalla Rivista Risonanze 1 – 2022, p. 6
Padre Giuseppe Prencipe fsmi
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