Lettera di Famiglia n.ro 69 (pubblicato con i permessi corrispondenti)
Roma, 29 dicembre 2022
Fratelli pregiatissimi,
Ci sono eventi che, razionalmente, sappiamo essere inevitabili ma che, col cuore che ama, non vorremmo mai arrivassero, tanto son dolorosi e difficili da vivere. Sono momenti in cui può calare la notte, momenti nei quali la nostra esistenza sperimenta vere e proprie svolte, delle quali solo il tempo ci fa comprendere l’intensità.
Di fronte alla morte, la ragione umana non può far nulla se non prendere atto della fragilità nella condizione umana. Percepiamo tutta la nostra impotenza di fronte ad essa che, come dice la liturgia, “è comune eredità di tutti gli uomini” (Prefazio dei defunti V).
Nel momento della prova, le parole di amicizia, di partecipazione, di affetto, pur importanti e doverose, risultano essere sempre parziali e incomplete e di certo non riempiono il vuoto lasciato da un caro fratello che, andando avanti nel cammino della vita, non è più presente tra noi; e questo perché l’amore è per sempre e i suoi frutti rimangono in eterno, secondo la volontà del Signore.
Sappiamo, però, che se da una parte le parole umane sono deboli e poco incisive, c’è una Parola, la Parola di Dio, che ci aiuta a diradare un poco la nebbia che scende nei cuori e nelle menti. È una Parola che ci invita a fissare i nostri sguardi sulla vita senza fine, su quella che giustamente viene chiamata la nostra patria.
È una Parola che infonde nel cuore la consapevolezza di non essere destinati al nulla. Perché Cristo avrebbe patito tutto ciò che ha patito, se non ci fosse in gioco qualcosa di grande, molto più grande di quello che noi possiamo ritenere? L’esistenza terrena è solo un tratto della nostra vita, è il tratto iniziale nel quale vivere fondamentalmente un impegno: accorgersi del valore del nostro tempo, della necessità di impegnarsi secondo i criteri evangelici, di coltivare il nostro “angolo di mondo” meglio che possiamo con lo stile di Dio.
Gesù ricorda, poi, che è Lui ad accompagnarci in questo tratto di cammino terreno: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). È un’affermazione a prima vista presuntuosa, quel voler sintetizzare in se stesso il significato, la direzione e l’origine del nostro essere. È presuntuosa, forse, per noi abituati a pensare in piccolo. Pensare secondo il cuore di Dio significa riconoscere che Egli da sempre si è preso cura del suo popolo e anche di ogni singola creatura. Il tempo che passa, con tutte le sue conseguenze, ci ricorda che il suo Amore è qualcosa che prende sempre più possesso del nostro cuore, sempre più desideroso non di cose che passano, ma di cose che restano e che profumano di eternità.
Quel profumo di eternità ha invaso il cuore di p. Giuseppe Cicconi, il 16 dicembre u.s. alle ore 8:50, quando il Padre buono lo ha eletto ad entrare nella patria beata dei cieli.
Padre Giuseppe, affettuosamente chiamato in famiglia e tra gli amici “Pino”, nacque il 21 luglio 1936 a Roma, figlio di Ulderico e Lucia Selva. Fu battezzato il 20 agosto 1936 presso la Basilica di S. Pietro in Vaticano. Ricevette il sacramento della Confermazione il 9 maggio 1948 nella Parrocchia S. Maria in Domnica a Roma.
Entrò come aspirante a Porto il 10 ottobre 1948. Fino al 1953 frequentò, quindi, le cinque classi ginnasiali e conseguì la Licenza ginnasiale presso l’Istituto Pontificio Sant’Apollinare in Roma.
Fu accolto in noviziato il 28 settembre 1953 a Roma (Mascherone) sotto la guida del maestro p. Antonio Tramontana ed emise la prima professione l’anno successivo il 29 settembre 1954. Con somma gioia visse il dono della prima consacrazione religiosa, condividendo con tutti le belle parole del salmo: «Exaltabo te Domine, quoniam suscepisti me» (Sal 29,2), che volle scrivere nell’immaginetta di ricordo.
Frequentò quindi il Liceo classico Calasantianum in Roma fino al 1957, al termine del quale professò i voti di consacrazione in perpetuum il 29 settembre e fu incaricato di seguire gli aspiranti come prefetto di disciplina.
Nel 1958 iniziò il ciclo di studi accademici istituzionali di filosofia e nel ’61 di teologia presso la Pontificia Università Urbaniana (Propaganda fide). Fu costretto ad interrompere il corso accademico nel febbraio del 1962 a causa di una grave malattia e, rimessosi in forze e in salute, riprese gli studi nell’ottobre dello stesso anno, concludendoli l’anno successivo.
Ricevette gli ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato il 17 dicembre 1960 a Roma, presso la chiesa del S. Cuore in piazza Navona da Mons. Roberto Ronca. Gli furono impartiti i ministeri dell’Esorcistato e dell’Accolitato il 7 maggio 1961 a Roma, presso la Basilica dei SS. Apostoli, dal Card. Luigi Traglia, allora vicario generale per la Diocesi di Roma.
Poi, gli fu conferito il Suddiaconato il 6 maggio 1962, sempre a Roma, presso il Pontificio Collegio Pio Latino Americano, da Mons. Alfredo Vicla. Fu ordinato Diacono il 28 ottobre 1962 a Roma, presso la Chiesa del S. Cuore a piazza Navona per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di Mons. Cesare Gerardo Vielmo.
Infine, ricevette l’Ordinazione presbiterale il 17 febbraio 1963 a Roma, presso la Chiesa di S. Marcello al Corso, per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di Mons. Ettore Cunial, Vicegerente.
Dal 1963 al 1965 fu assegnato al seminario di Porto come Vice Direttore.
Il giorno 8 gennaio 1966 partì per l’America Latina da Napoli, con la motonave Augustus, insieme a p. Bracco e fu destinato alla comunità Nostra Signora di Loreto in Sarandì, ove gli fu chiesto di ricoprire il servizio di economo della comunità religiosa, vice-parroco, vice-direttore della scuola e formatore degli aspiranti.
Nel 1970 rientrò in Italia e fu nominato formatore dei postulanti a Porto. Nel frattempo iniziò il corso di Spiritualità alla Pontificia Università Gregoriana in Roma. A riguardo di quest’ulteriore obbedienza, rivolgendosi al Superiore Generale, scrisse queste belle parole: «…ho piacere di dirle con tutta franchezza che sono a completa disposizione sua nella realizzazione del piano del Signore a mio riguardo per la santificazione e per il bene della Congregazione. […] Rev.mo padre, lei e i consultori avrete pensato le cose e le avrete viste alla luce della volontà di Dio; per questo ho provato tanta pace e serenità» (Lettera del 18 luglio 1970).
L’obbedienza lo chiamò poi a Verona, presso la Comunità S. Maria Ausiliatrice, dove nel 1973 fu nominato superiore, economo e vice parroco. L’anno successivo fu nominato Maestro dei novizi presso la medesima comunità e durante il XII Capitolo generale del 1975 fu eletto consultore.
In seguito, nel 1977, fu destinato a Fiumicino, Isola sacra, parroco della comunità S. Maria Madre della Divina Provvidenza, risiedendo prima presso la comunità di Porto, poi nella comunità di Porto della Salute ed infine, nel 1981, nella nuova comunità di Isola Sacra, ricoprendo anche l’incarico di superiore.
A partire dal 1989 continuò il suo servizio ministeriale ad Oristano, presso la comunità del S. Cuore, ove fu parroco e superiore di comunità.
Nel febbraio del 1994 fu nuovamente chiamato a partire per la Delegazione dell’America Latina e fu nominato Delegato del Superiore Generale per due trienni.
Dal 1994 al 1999 fu superiore, formatore e vice parroco a San Felipe (Buenos Aires).
Terminato il suo servizio di Delegato, fu destinato nel 1999 a Santiago, presso la comunità di San Patricio, come parroco e superiore fino al 2012, quando i superiori ritennero opportuno trasferirlo alla Comunità di N. S. de las Nieves come vicario parrocchiale.
Nel 2016 venne richiamato in Italia e assegnato alla comunità dello Studentato come collaboratore. Inizia per lui un tempo di riposo con fasi alterne di lucidità, ma sempre segnato da grande fede e santità di vita. La cattedra più alta di un uomo è il modo in cui affronta la sofferenza. Per un credente il patire ha un valore sacramentale, è una situazione umana abitata da Dio. Il desiderio sommo di san Paolo di conoscere Cristo passa attraverso la comunione alle sue sofferenze. Questo nostro fratello sacerdote ha convissuto con la debolezza con dignità e coraggio negli ultimi anni, senza mai scomporsi e senza mai disperare. Nella prova l’aiuto gli veniva certamente dalla fede nel Signore e dall’impegno della preghiera a cui non veniva meno neppure nelle giornate più pesanti quando, pur nelle difficoltà, celebrava la Santa Messa, magari scusandosi per qualche pausa in più non prevista dal rito.
Alla fine del mese di novembre 2022 venne ricoverato all’Aurelia Hospital per un malore improvviso e trattenuto per accertamenti, che poi diagnosticheranno una neoplasia diffusa allo stomaco e agli organi viciniori.
Il 16 dicembre 2022 alle ore 8:50 a.m. terminò la sua esistenza terrena e fu accolto dall’abbraccio benedicente del Padre buono nelle dimore del cielo.
Vivere significa amare. E amare significa curare le relazioni, coltivare la generosità, impegnarsi con passione, collaborazione e responsabilità nella propria vocazione, stupirsi delle piccole cose, apprezzare quanto di bello buono e santo c’è negli altri, fare attenzione ai poveri e ai deboli. Tutto questo era p. Giuseppe!
A tanti rimarrà in benedizione il ricordo di quel buon cuore che l’ha sempre contraddistinto. Padre Giuseppe è sempre stata una persona solare, col sorriso, con la gentilezza e la dedizione attraverso cui si metteva a disposizione degli altri.
La sua simpatia travolgente, i suoi divertenti discorsi nelle circostanze di festa e la sua piacevole presenza negli incontri fraterni di Congregazione hanno favorito sempre un clima di gradevole cordialità e di affetto sincero: era da tutti spontaneamente amato e ben voluto. Nel cuore proviamo tutti gratitudine nei suoi confronti per come ci ha testimoniato la bellezza e la preziosità dello stare assieme, del tradurre in azioni concrete il grande comandamento dell’amore che ci ha lasciato Gesù.
Qualcuno ha detto che l’amore è l’unica cosa che dividendola si moltiplica. Questo è stato vero per p. Cicconi! Chissà che meditando sugli esempi che ci ha lasciato, siamo capaci di progredire in questo essere per gli altri che tanto piace al Signore.
Lo ricordiamo anche come uomo di intensa preghiera: l’Eucaristia quotidiana, celebrata con massima attenzione e con devoto trasporto, infiammava il suo cuore di quell’amore pastorale capace di assimilare il suo “io” personale a Gesù per poterlo imitare nella più completa donazione di sé. Apprendiamo da lui la lezione di invecchiare bene perché sorretti da ragioni di vita anche in “condizioni diminuite”. I limiti non fermano la missione, solo la trasformano.
Amava intensamente la sua vita religiosa, la Congregazione e il suo sacerdozio. In occasione del suo venticinquesimo anniversario di ordinazione scrisse ai confratelli: «Con serenità e gioia vi ricordo i venticinque anni di vita sacerdotale e vi chiedo la carità di una preghiera, per ottenere dal Signore il perdono per il male fatto e per il bene omesso e per lodare e ringraziare il buon Dio per il bene che, affidato alla Grazia, ha costituito per me testimonianza di fede e servizio ai fratelli, contribuendo così a rendermi un uomo felice! Maria Madre mia guidami e proteggimi!» (Lettera del 17 dicembre 1987).
Era animato dal grande desiderio di portare Gesù a tutti e portare tutti a Gesù, evangelizzando in ogni circostanza, vivendo in pienezza le parole dell’Apostolo Paolo: «annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2Tm 4,2). Fu forse per questo che aveva grande ammirazione per il Frassinetti e cercava di imitarne gli insegnamenti e lo stile di apostolato.
Siamo certi che Dio non distrugge né abbatte, non annulla né elimina, non disperde né cancella quello che siamo e quello che abbiamo. Le persone, i sentimenti, le speranze, le certezze, i desideri, Dio li prende e li rende eterni. E lo fa anche rendendo eterno p. Giuseppe, i suoi affetti e tutta la sua vita terrena completamente purificata dalla fragilità umana. Diciamo grazie al Signore per il dono dell’immortalità concessa a p. Giuseppe. Gli diciamo grazie consapevoli, come dice la liturgia, che la sua vita non gli è stata tolta, ma trasformata, e che la sua morte non è semplicemente l’epilogo certo della sua ricca esistenza.
Davvero sei beato caro p. Giuseppe, perché questo stupendo dono di Dio ora per te non è più una promessa, ma una realtà che si sta compiendo. Ora la tua vita è tutta davanti al Signore e tutto acquista senso. Ora tutto il tuo cammino è nelle mani di Dio, ora sei nell’abbraccio misericordioso del Padre.
Non è facile lasciarti andare, ma ti sappiamo in compagnia di tanti nostri fratelli che sono andati avanti nel cammino della vita. Questo ci basta per saperti con noi, in quella comunione che unisce cielo e terra. Il modo più sincero di onorarti e averti vicino è calcare le tue orme nel servizio al prossimo, coltivando la disponibilità al servizio e la lealtà nelle relazioni.
Noi preghiamo per te perché ciò che nel tuo cammino terreno non è stato in sintonia con gli insegnamenti di Gesù sia perdonato e bruciato dal grande Amore che Dio nutre per ciascuno di noi. Tu, prega per noi tuoi confratelli, per la tua famiglia, per i giovani a noi affidati, per la tua Congregazione, da te tanto amata, perché non abbia mai a perdere di vista il centro della sua vita, della sua esistenza: il Cristo Signore.
Chiedi per noi tutti il dono di saper rimanere con lo sguardo fisso su Gesù. Implora per noi la speranza piena di immortalità. Chiedi allo Spirito che nel cuore di tutti maturi la scelta di mettersi a disposizione degli altri, collaborando ad espandere il Regno di Dio, con la carità verso il prossimo, la più bella testimonianza di vita che possiamo dare.
Prega soprattutto per i più piccoli, i più giovani, i nostri cari professi che stanno imparando a conoscere Gesù e la bellezza della vita fraterna. Comprendano, illuminati dal tuo esempio, che conoscere il Signore e vivere da fratelli non è questione di testa, ma di cuore.
È tempo di salutarci, per te è iniziato il cielo. Ti vogliamo tanto bene! Va in pace e vivi in Dio nell’eterna gioia del paradiso!
p. Roberto Amici
Superiore Generale dei Figli di Santa Maria Immacolata
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